-Continuo a non capire cosa facciamo qui-dico.
Sono passate poche ore dalla nostra avventura in ospedale, abbastanza per dormire un po’. Alle quattro del mattino, Ethan ha iniziato a bussare alla mia porta e mi ha tirata fuori dal letto, letteralmente.
‘Hai meno di due minuti per vestirti, altrimenti, ti porterò in pigiama alla nostra destinazione’ mi ha minacciata.
E chiunque conosca Ethan anche solo poco sa che sarebbe capace di farlo, così mi sono infilata la prima cosa che ho trovato prima di essere sequestrata. Non ho potuto fare niente per i miei capelli che sembrano uno straccio e per le mie occhiaie.
Ora siamo in mezzo al nulla, con nessun edificio o casa attorno a noi e con una vasta pianura davanti che mi ricorda la prateria dove vive Heidi. Il cielo scuro è pieno di stelle e, fortunatamente, la luna piena emette una lieve luce che evita che tutto sia nascosto dall’oscurità assoluta. Così almeno posso vedere dove metto i piedi.
Una brezza gelida mi fa tremare. Mi strofino le braccia nel vano intento di farmi calore.
-Io ti ho aiutata in ospedale. Ora tocca a te-risponde Ethan semplicemente.
-E non potevi scegliere un’ora che non fosse della notte?-mi lamento.
Non riesco a vedere la sua faccia a causa dell’oscurità, ma giurerei che ha sorriso.
-No.
Continuiamo a camminare per quella che mi sembra un’eternità. Il cielo inizia ad essere sempre più chiaro.
-Siamo arrivati-annuncia Ethan, fermandosi di colpo.
Alzo la vista dal suolo. Davanti a noi si trova un edificio bianco. E’ semplice, non molto grande e di un solo piano. Non ha finestre né porta normale, ma una enorme. La cosa più strana, è che a lato si trovano vari metri di asfalto, senza una strada che si connetta ad essi.
Incrocio le braccia nel momento in cui inclino la testa provando a trovare l’utilità del posto o la logica della sua costruzione, ma niente, non riesco a capirlo.
Ethan ridacchia al vedere il mio volto perplesso.
Inizio a sentire un ronzio, come una zanzara che non smette di ronzarti vicino all’orecchio. Provo a determinare la sua origine, ma non la trovo. Credo sia a vari kilometri di distanza. Il rumore diventa sempre più forte, questo vuol dire che si sta avvicinando.
Fino a quando, finalmente, lo vedo.
All’inizio è un punto nero nel cielo, la cui tonalità ora è azzurra indaco, ma man mano che si avvicina capisco che si tratta di un elicottero. Questo, atterra nell’asfalto accanto la struttura, che risulta essere una pista di atterraggio.
Un elicottero? Interrogo Ethan con lo sguardo, ma lui mi ignora e comincia ad andare verso la pista. Quando siamo abbastanza vicini, scende un uomo.
E’ di mezza età, poco più basso di Ethan ma più alto di me. Non è magro ma nemmeno eccessivamente grosso, solo una manciata di grasso sulla pancia e nelle braccia. I lineamenti del viso sono abbastanza comuni. Così tanto, che se mi scontrassi con lui per strada non lo riconoscerei.
-Ethan!-esclama al vederlo.
I due si salutano con una forte stretta di mano.
-Pensavo ti saresti tirato indietro-scherza.
-Io mantengo sempre le mie promesse, George-risponde Ethan con un ampio sorriso.
-Dobbiamo sbrigarci, il sole sta sorgendo-sentenzia George, incamminandosi verso la piccola costruzione. In quel momento, si accorge della mia presenza-Vieni anche tu?-chiede senza fermarsi.
Ethan lo segue ed io faccio lo stesso.
-Immagino, anche se non ho idea di dove stiamo andando-dico a voce bassa.
-Ethan non ti ha detto niente?-ride.
L’interno del posto è completamente vuoto, ad eccezione di alcuni tappeti, cartelli, sedie e armadi.
-No-rispondo.
George va all’armadio e tira fuori due zaini e due divise.
-Posso chiederti il nome?-chiede amabilmente.
-Allysa.
-Allysa, bel nome. Lasciami dire che questo mascalzone-guarda Ethan ridendo-ti ha convinto a lanciarti da un elicottero.
Aspetto un minuto affinché dica che si tratta di uno scherzo, ma non lo fa.
Lasciarmi da un elicottero? Vuole uccidermi?
-Dimmi che è uno scherzo-supplico Ethan.
Lui scuote la testa, serio.
-No-risponde-ma guarda il lato positivo, avrai un paracadute.
Affogo un grido.
-Morirò di infarto ancora prima di saltare!-esclamo.
-Avrete tempo di discutere di ciò sull’elicottero-ci interrompe George-Sta per sorgere.
-Salteremo con i primi raggi del sole-mi spiega Ethan.
George ci tende le divise e gli zaini ed esce. Ethan si mette la divisa in fretta sui suoi vestiti, ma io non so se fare lo stesso o no, perché se lo faccio, mi unirei al suo piano suicida.
-Mettitela-mi ordina al vedere che non seguo i suoi movimenti.
Abbasso lo sguardo ed osservo le mie mani.
Scuoto la testa. Credo che mi metterò a piangere dalla paura.
-Me l’hai promesso-mi ricorda.
-Ti ho promesso di aiutarti, non di rischiare la mia vita buttandomi nel vuoto-dico con voce tremante.
-E mi aiuterai.
-Come?
-Ho paura delle altezze.
Se non fosse per il tono serio con cui lo dice ed il tremore del suo labbro inferiore, direi che mi sta prendendo in giro.
-Sul serio?-chiedo.
-Assolutamente-risponde.
-Ragazzi! Il tempo stringe!-ci chiama George.
Corrugo la fronte.
-Mi aiuterai?-chiede Ethan con sguardo supplicante.
Come potrei negarmi a quegli occhi azzurri.
-Certo.
Infilo la divisa rapidamente e metto lo zaino sulle spalle. Ethan ed io usciamo all’esterno quando un raggio inizia ad apparire all’orizzonte. Il sole sta per sorgere.
George è già nell’elicottero. Saliamo ed iniziamo a prendere velocità per alzarci in cielo. Il cuore mi batte così forte che ho quasi voglia di vomitare. Mi tengo come posso al sedile e alla maniglia e mi mordo il labbro con forza per non gridare.
-Di solito si fa un allenamento qualche minuto prima di salire-grida George-sapete, per sapere come cadere e queste cose qui, però noi andiamo di fretta e lo salteremo.
Ottimo, mi ammazzerò senza sapere come farlo.
-Perché dobbiamo farlo in questo momento del giorno?-grido ad Ethan.
-Perché se morirò voglio farlo con l’alba.
Le mie mani sono così sudate che ho paura mi scivolino dal mio sedile, facendomi cadere.
-Sto scherzando-afferma pochi secondi dopo-Mi è sembrato romantico.
Non so come prendere le sue ultime parole, ma sono così occupata a non morire di paura che lascio perdere.
-E’ l’ora ragazzi!-grida George.
Mi guardano tutti e due. Sono quella che si trova più vicina alla porta, quindi devo aprirla io. Fino a quando non salterò, Ethan non lo farà.
Sospiro e lo faccio.
Il vento che entra all’improvviso mi fa gridare. Chiudo gli occhi con forza e lascio andare tutta l’aria fuori dai miei polmoni.
Sono già morta una volta. Superato quel trauma, non mi resta che vivere esperienze del genere.
Mi metto in piedi e, senza pensarci, faccio un passo avanti, cadendo nel vuoto.
L’aria colpisce il mio viso con forza. Provo ad ingoiare ma non ci riesco, tutti i miei muscoli sono spinti indietro dal vento.
Cado, con l’adrenalina che mi scorre nelle vene.
All’improvviso sento un’immensa sensazione di euforia, come se tutti i miei problemi siano rimasti nell’elicottero, abbandonandoli per sempre.
Grido, piango e rido. Tutto insieme.
Un’ombra accanto a me mi indica che anche Ethan ha saltato. Inizio a ridere per l’espressione stampata sul suo viso.
I raggi del sole iniziano a comparire, tingendo di arancione e dorato il cielo.
Ho Ethan così vicino che penso di poterlo toccare. Alzo la mano verso di lui e lui fa lo stesso. Le nostre dita si sfiorano appena prima di tirare la corda del mio zaino e far aprire il paracadute.
Mi godo la vista nei pochi secondi che mi rimangono prima di toccare terra.
Cado e mi attorciglio con il paracadute. Quando riesco a disfarmene, mi lascio cadere qualche secondo al suolo. Mi fanno male tutti i muscoli del viso e le orecchie.
-Che faccia-ride Ethan al vedermi.
-Guarda la tua-ha tutti i capelli all’indietro.
Lui ride. Si vede felice, non so se perché sia finita o perché si è divertito.
-Paura superata?-chiedo.
Si intristisce.
-No, però non è stato così male-ride.
Mi offre la mano per aiutarmi ad alzarmi. La prendo e con un salto torno in piedi.
-Andiamo, ti accompagno a casa-mi offre.
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