Sono tornata in ospedale. Un’altra volta. Di questo passo la sicurezza imparerà il mio nome e diventerò amica delle infermiere. Anche se pensandoci bene, sarebbe una buona idea. O almeno mi faciliterebbe le cose per ciò che sto pensando di fare.
Sono venuta a chiedere la mia cartella clinica, ovvero quella di Allysa. E sono rimasta molto sorpresa al sapere che la persona che si è scontrata con la mia auto-quella di Andy-non è stata Allysa. Allysa ha avuto una morte così stupida come quella di soffocare mentre mangiava una fetta di torta mentre tornava a casa. Fortunatamente una donna chiamata Esmeralda l’ha vista ed ha chiamato i soccorsi, altrimenti non sarei qui a raccontarvelo.
Facendo due conti, posso affermare con totale sicurezza che il giorno in cui sono morta come Andrea è anche lo stesso giorno in cui è morta Allysa e sono tornata alla vita, iniziando il mio letargo di cinque giorni.
Secondo la cartella di Allysa, la chiamata all’ospedale è arrivata alle 19:38 e alle 19:46 era già in cammino per l’ospedale. Ciò che nessuno poteva immaginare è che non si sarebbe svegliata fino a cinque giorni dopo. Perché è entrata in coma se non aveva passato abbastanza tempo senza ossigeno? E’ una cosa molto strana.
E’ successo qualcosa in quel periodo di tempo in cui tutte e due siamo morte, praticamente alla stessa ora, fino a quando non mi sono svegliata come Allysa.
Può essere non scopra niente, ma qualcosa mi spinge a verificare l’identità della persona con cui mi sono scontrata quella notte. Ho bisogno di sapere perché sono in questo corpo ed il nome di quella persona è l’unica cosa che mi rimane prima di chiudere la faccenda. L’ultima cosa da conoscere prima di arrendermi.
Ho chiesto alla donna che sta dietro al computer la sua cartella clinica un minuto dopo averle chiesto la mia. Ma a quanto pare, chiedere la cartella di qualcuno con cui non ho alcun legame va contro la politica della privacy dell’ospedale.
Così non mi rimane che dare un’occhiata senza permesso.
Mi sono infilata in un piccolo sgabuzzino poco prima che finisse l’ora delle visite.
Mi sono accovacciata dietro la porta, nascondendomi. E’ da così tanto tempo che sono in questa posizione che ho tutti i muscoli doloranti.
Sono passate due ore da quando mi sono infilata in questa stanza. Ogni volta che penso di uscire, sento dei passi che mi fanno pentire della mia idea.
Fino a quando osservo distrattamente alla mia sinistra e riesco a vedere alcune uniformi delle donne delle pulizie.
Stupida! Avrei potuto vederle prima!
Mi alzo e prendo la divisa. Metto l’uniforme sopra i miei vestiti per non perdere tempo svestendomi ed esco nel corridoio prima che senta qualcuno avvicinarsi.
Il corridoio è libero dal personale dell’ospedale. Lo percorro stando attenta a non incontrare nessuno ed arrivo al computer con tutte le cartelle cliniche.
Sfortunatamente, qualcuno è davanti allo schermo.
Dalla mia posizione, posso vedere che si tratta di una donna ma lei non vede me. Cosa dovrei fare per farla andare via? Attivare l’allarme antincendio? Attaccarla con una mazza da baseball e lasciarla incosciente per qualche minuto? Sono arrivata troppo lontano per arrendermi ora.
-Cosa stai facendo vestita così?-mi spavento al sentire una voce conosciuta dietro di me.
Mi giro e metto una mano sulla bocca della persona che mi ha spaventata-il quale mi guarda con dei confusi occhi azzurri-affinché non dica una parole, faccio un passo avanti tirando Ethan verso di me un secondo prima che la donna guardi verso la nostra direzione, per poi tornare a guardare il computer.
Tolgo la mano dalla bocca di Ethan.
-Che stai facendo?-chiede a voce bassa.
Inevitabilmente mi ricordo dell’ultima volta che ci siamo visti, quando mi ha cacciata di casa sua.
-Non ti importa-sussurro.
Ethan unisce le labbra formando una linea retta e sposta lo sguardo sul luogo dove si suppone sia il mio obiettivo. Poi torna a guardarmi e mi dice con un sorriso malizioso:
-Sul serio? Andiamo a chiederlo a quella dolce impiegata.
Fa un passo avanti e poco prima che si infili nel campo visivo della donna, lo prendo per il braccio e lo tiro verso di me.
-Va bene!-esclamo senza alzare la voce.
Ethan abbozza un sorriso vittorioso.
-E bene?-chiede.
-Devo guardare una cosa da niente. Ma teoricamente non possono lasciarmela vedere perché non ho nessun vincolo con questa persona.
Ethan mi osserva come se all’improvviso mi fossi messa a parlare in russo.
-Ti dedichi a guardare le cartelle cliniche di sconosciuti?
-Ethan!-lui alza le mani in aria, in segno di resa-sapevo che spiegartelo sarebbe stata una perdita di tempo.
All’improvviso, sentiamo dei passi provenire dalla fine del corridoio. Prima che possa reagire Ethan mi prende per la mano e si infila nella prima stanza che trova. Aspettiamo in silenzio che i passi arrivino alla porta, e che spariscano. Solo dopo lascio andare l’aria che ho trattenuto ed Ethan mi lascia la mano.
-C’è mancato poco-mormoro.
-Facciamo un patto-dice Ethan-Io ti aiuto a guardare questa cosa ed in cambio, mi aiuti con una piccola questione.
Che piccola questione? Si tratta di droga? Uccidere qualcuno? Ho un cattivo presentimento.
-Una piccola questione? Che questione? E che fai tu in ospedale a quest’ora?
-Mi dedico ai furti.
Spalanco talmente tanto gli occhi che temo mi schizzino fuori dalle orbite.
-Scherzo! Avresti dovuto vedere che faccia hai fatto-ride-Viola è peggiorata e sono venuto a trovarla.
-Viola? Che è successo?
-Nulla di cui devi preoccuparti ora.
Ethan mi tende una mano.
-Ti sta bene?-chiede.
-Va bene-rispondo stringendogliela.
Ethan sorride e si siede sul pavimento appoggiando le spalle contro la parete.
-Che fai?-chiedo.
-Ti aiuto-dice semplicemente.
-Come pensi di aiutarmi così?
-Tu aspetta e vedrai-risponde tirando fuori il cellulare dalla tasca per guardare l’ora-Candy va a prendere un caffè a mezzanotte. Dobbiamo solo aspettare mezz’ora.
-Candy? La conosci?
-Qualsiasi persona che sia stata qui più di due notti sa che quella donna è fedele alle sue abitudini. Ed ha un cartellino con scritto CANDY. Smettila di preoccuparti e siediti. Vieni, ti racconto una storia.
-Una storia?-chiedo con curiosità, lasciando i miei dubbi di lato e sedendomi vicino ad Ethan.
-Sì, dobbiamo ammazzare il tempo, no?
Ethan comincia a raccontare la sua storia:
-C’era una volta un ragazzo di 16 anni che, all’inizio delle lezioni, si innamorò perdutamente di un’alunna nuova.
-Eri tu il ragazzo?-lo interrompo.
-Non mi interrompere.
-Scusa.
-La ragazza frequentava le stesse lezioni del ragazzo, così tutti i giorni poteva vederla. Il ragazzo era troppo timido per parlare con lei. Semplicemente si dedicava a sedersi qualche posto indietro e ad osservarla in silenzio. Un giorno sì e l’altro pure. Finì per imparare tutti i suoi gesti: si toccava i capelli quando era nervosa, guardava dalla finestra quando si annoiava ed abbassava la testa corrugando la fronte quando non capiva la lezione. Passarono due anni e nulla cambiò. La ragazza continuava ad ignorare l’esistenza del ragazzo. Un giorno, nel tragitto di ritorno dalla gita scolastica, per pura casualità, si sedettero insieme. Il ragazzo iniziò ad arrossire. Non l’aveva mai avuta così vicina! La ragazza osservò lo strano comportamento di lui, guardava le sue gambe muoversi come se seguisse il ritmo di una canzone che sentisse solo lui e le sue mani tremavano. Perché si comportava così? Era lei la ragione? Cominciarono a chiacchierare. La conversazione terminò con uno scambio di numeri di telefono, attraverso cui si mandarono messaggi mettendosi d’accordo per uscire. Il ragazzo non avrebbe mai dimenticato quell’estate, fu la migliore della sua vita! La vedeva quasi tutti i giorni e prima dell’arrivo di settembre, la baciò. Iniziarono ad uscire. Il ragazzo aveva sempre tempo per lei, prendeva la sua mano quando lei si sentiva persa e le offriva la sua spalla quando si sentiva triste. La riempì di baci e non ci fu giorno in cui non le dicesse ciò che provasse. L’inverno si fece notare e prima della fine dell’anno, lei morì. -Morì?!-esclamo.
-Sì. Si suicidò-risponde Ethan con un’emozione che non riesco a decifrare.
-Ma, perché? Erano felici! Erano innamorati!
-Perché a volte l’amore non è sufficiente per salvare qualcuno.
-Salvare?-chiedo confusa.
-Sì, Allysa-risponde Ethan come se fossi una bambina piccola e mi stesse spiegando qualcosa di evidente-La ragazza era pura oscurità. Si autolesionava, prendeva farmaci per perdere coscienza e non aveva amor proprio. Si odiava. Quando qualcuno è così rotto come era lei, nemmeno un amore così puro come quello che provava il ragazzo può salvarti.
-E’ una storia orribile-dichiaro.
-Ma è reale.
Annuisco. Il tono di voce triste con cui ha raccontato la storia, il suo sguardo malinconico e l’aria abbattuta che mostra ora, insieme al fatto che sa che è una storia vera, mi fa sospettare che il ragazzo della storia sia Ethan.
-Che è successo?-chiedo con cautela.
I suoi occhi mi dicono che sa cosa sto pensando riguardo al protagonista del racconto.
-Il ragazzo è maturato. Ha smesso di essere il ragazzo timido per convertirsi in un cinico coglione.
Se solo fossi capace di alleviare, anche solo un po’, il suo dolore. Ma sento che le parole siano fuori luogo e non posso aiutare una persona che si trova emotivamente a milioni di kilometri di distanza.
Mi brucia dentro vedere qualcuno a cui voglio bene soffrire e non posso fare niente davanti alle lacrime che pizzicano i miei occhi chiedendomi di uscire, le mie labbra fanno male sotto il morso dei miei denti e i miei palmi sanguinano a causa delle incisioni delle mie unghie.
-Andiamo-Ethan rompe il silenzio e si alza-E’ mezzanotte.
________________________________________ Da ora in po' l'attesa per gli aggiornamenti saranno più lunghe. Ho trovato un lavoretto estivo che mi occupa un bel po' del tempo...quindi abbiate pazienza. Seconda cosa: se qualcuno mi spiega il motivo per cui quando carico le foto su imgur mi si scuriscono lo ricompenso. Quando le modifico con photoshop sono bellissime! Ma quando vado a caricarle diventano scure Sono molto triste.
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