I raggi del sole si infilano fra le mie palpebre, obbligandomi ad aprire gli occhi. Vedo due bambini guardarmi intensamente. Sto invadendo la loro giostra.
-Non avete lezione oggi?-dico più bruscamente di quanto voglia. Loro si guardano fra di loro e corrono gridando verso le loro madri.
Non so dove vivo, così ho passato la notte nel parco. Dato che non smetteva di piovere mi sono riparata in una giostra a forma di casa. Ora ho male alla schiena, sono infreddolita e puzzo.
-Non sei troppo grande per giocare in questa casetta?-mi chiede una donna con voce stridula tenendo per mano uno dei bambini di prima. Deve essere la madre.
-E suo figlio non dovrebbe essere in una scuola a studiare invece di stare qui a giocare?
In un’altra occasione avrei provato ad essere più gentile e mi sarei spostata lasciando la giostra ai bambini. Ma oggi no. Oggi non sono di buon umore per nessuno.
-E’ sabato-mi risponde con un sorriso di sfida.
-Ah-non trovo nulla di meglio da dire.
Non so nemmeno che giorno sia, stiamo migliorando Andy.
Almeno vivi mi ricorda il mio subconscio. Oh smettila! Quasi preferisco essere morta. Solo quasi.
-Quindi, te ne vai?-chiede la donna.
Preferirei non muovermi dalla giostra, ma non trovo alcun argomento utile a farmi rimanere. Raccolgo la poca dignità che mi è rimasta dal suolo e me ne vado dal parco.
Dove dovrei andare? Ho le chiavi di casa di Allysa ma non ho la sua via. Inizio a camminare senza meta.
Aspetta!
Apro il portafogli e…Eccola! La via è scritta sul documento. Avrei potuto pensarci la scorsa notte.
L’edificio non è molto lontano dal parco, ma non ho dormito bene e sono stanca, per questo decido di prendere un taxi. Durante il tragitto verso casa, guardo dentro il portafogli di Allysa, ma non c’è nulla oltre il documento, la patente, soldi, la carta di credito, la tessera del blockbuster e la tessera di una biblioteca. Niente di più. Niente foto, biglietti, o qualcosa che mi dica dove lavora. Niente.
Arrivo e pago il tassista. Davanti a me si trova un edificio di mattoni rossi con sette piani. Non ci sono balconi, solo alcune finestre nere. Allysa vive al terzo piano, senza ascensore. Scendo dal taxi e attraverso l’atrio dell’edificio.
-Ciao-saluta il portinaio senza smettere di guardare lo schermo del computer.
-Ciao-rispondo timidamente.
Inizio a salire le scale fino al terzo piano. Litigo con le chiavi fino a quando non riesco ad aprire la porta.
L’appartamento è piccolo. Le pareti sono bianche ed il pavimento è in legno. La cucina e la sala da pranzo sono un’unica stanza. Al posto di un tavolo dove mangiare c’è un bancone con tre sgabelli. Sulla parete sono appesi alcuni quadri, ma niente familiari, solo paesaggi. C’è una televisione su un mobile pieno di libri ed un divano. Nella camera c’è un letto matrimoniale-almeno avrò un letto enorme solo per me-, una scrivania con un portatile sopra ed un armadio. Ad ogni lato del letto c’è un comodino e su uno di essi c’è un libro letto a metà. Il Codice Da Vinci, di Dan Brown. C’è anche un telefono, ma è scarico. Può essere riesca a procurarmi delle informazioni importanti. Lo metto sotto carica e vado in bagno. Riempio la vasca fino all’orlo, mi svesto e mi immergo. E’ così piacevole. Sarebbe così facile rimanere sotto la superficie fino a rimanere senza ossigeno. Fino ad esalare l’ultimo respiro. Tornerei in cielo, ma non mancherei a nessuno. Tutti pensano che sia lì e nulla mi lega a questo mondo. Ma sono troppo codarda per farlo. Mi piace rimanere viva.
Dopo mezz’ora, svuoto la vasca e mi copro con un asciugamano. Vado in camera da letto e apro l’armadio. Almeno Allysa aveva buon gusto riguardo a vestiti.
Il telefono continua a caricarsi. Accendo il computer e cerco su internet ‘anima dentro un altro corpo’. Escono parecchi video su youtube di esorcismi. Vedo anche dei commenti di persone che vorrebbero cambiare corpo o personalità chiedendo se la cosa sia possibile. Trovo documenti provenienti dal Medioevo, quando si credeva che un’anima potesse uscire da un corpo se si sbadigliasse troppo o se ci si spaventasse. Stupidaggini. Su internet non trovo nulla di utile.
Continuo a cercare ancora per qualche minuto fino a quando un pensiero mi compare in mente. Durante la mia vecchia vita, immaginavo ciò che la gente potesse dire dopo la mia morte. Se sarei mancata a qualcuno, se sarebbero stati meglio senza di me, se il dolore sarebbe stato tanto da non farli vivere…Entro su facebook e la mia bacheca è piena di messaggi. Alcuni non dicono niente di interessante, solo un ‘RIP Andrea’ o ‘Ti vorremo sempre bene’, come se lo avessero scritto solo perché fosse loro dovere morale.
Ce ne sono anche di più dolci, come quello di Sara, la mia migliore amica, che dice:
‘Ti ho conosciuta quando eravamo solo delle bambine, siamo cresciute e maturate insieme. Ti ho vista ridere, piangere, gridare fino a rimanere senza aria nei polmoni, innamorarti, sorprenderti…Conquistavamo il mondo insieme e ora sono rimasta sola. Nulla può confrontarsi con il dolore che sento. Spero che ovunque tu sia, sia felice e non ti dimentichi di noi, che siamo qui. Oggi il cielo ottiene un’altra stella. Ti voglio bene Andy, e lo farò sempre.’
Quando finisco di leggere le lacrime scorrono lungo le mie guance senza permesso.
Cerco il profilo di Sam, ma non riesco a trovarlo. Suppongo sia troppo doloroso per lui vedere le nostre foto ad ogni accesso.
Spengo il computer e mi butto a letto. Chiudo gli occhi ed inizio a contare fino a quando il dolore che sento nel petto inizia a scomparire.
Il mio stomaco inizia a far rumore. Ora che ci penso, non mangio niente da ieri. E Allysa non ha niente di commestibile in cucina. Quasi tutto è congelato o richiede del tempo per la preparazione. Meglio cercare qualcosa da mangiare fuori di qui. Prendo le chiavi, una borsa ed esco di casa.
Arrivo alla stessa caffetteria di ieri ed ordino un cappuccino con una torta glassata al cioccolato. Che fame! Divoro mezzo dolce in pochi secondi ed il caffè è delizioso come quello di…
Boom!
Mi scontro di nuovo contro un uomo. Lo stesso di ieri.
-Oh avanti! Devo proprio starti antipatico!-esclama.
E non ho solo versato il mio caffè sulla sua camicia-ancora una volta-, ma mi è anche caduto per terra ciò che resta del mio dolce. Il mio desiderato, delizioso e appetibile dolce.
L’uomo mette le mani sulla vita e sospira guardando il cielo.
-Mi puoi spiegare cosa ho fatto di male per meritarmi questo?-chiede con teatralità senza smettere di guardare verso il cielo.
-Non essere esagerato, è solo un po’ di caffè-dico provando a togliere importanza alla questione.
Ora guarda direttamente me. Ha gli occhi azzurri.
-Un po’ di caffè? Hai detto un po’ di caffè? La camicia di ieri l’ho dovuta buttare perché la macchia non è andata via ed oggi mi butti addosso un po’ di caffè?-domanda irritato.
Credo di dover iniziare a guardare dove vado.
-Ma la camicia di ieri era bianca. Questa volta verrà via. Comunque tu hai buttato la mia colazione per terra!
La camicia che ha addosso non è bianca. E’ azzurra. Sinceramente non credo che la macchia verrà mai via ma lui non saprà mai quello che penso.
-Scusa per averti buttato per terra il piccolo pezzo di dolce che ti rimaneva-ironizza-Puoi tornare nella caffetteria e comprarne un altro in meno di un minuto. Invece io devo tornare a casa a cambiarmi la camicia. O dovrei dire: a buttarla. E così, ho perso tutta la mattinata.
Ed il premio alla persona più insopportabile dell’anno va a(rullo di tamburi)…L’uomo dagli occhi azzurri!
E’ inutile provare a riparare ciò che non può essere sistemato. Andy, alle armi!
-Vai a fanculo!-gli grido.
-Non se ci vai tu-prende il bicchiere con il poco caffè rimasto dentro e me lo butta addosso. Capelli inclusi.
Soffoco un grido.
-Non posso crederci.
Mi ha bagnata! E brucia!
-Arrabbiata? E perché se è solo un po’ di caffè?-sorride con malizia.
Non so cosa sto facendo. Ho smesso di pensare a ciò che faccio e agisco accecata dalla rabbia. Prendo la torta dal suolo e gliela spalmo sulla camicia. Lui mi guarda a bocca aperta.
-Ecco! Ora c’è un intera colazione!-sorrido mentre osservo con orgoglio la mia opera d’arte.
-Te ne pentirai-promette.
Non mi dà il tempo di reagire, mi prende per le gambe, mi carica sulla sua spalla e inizia a camminare.
-Cosa stai facendo? Lasciami!-grido muovendomi come un’isterica.
Lui mi ignora e continua a camminare. Stiamo arrivando in mezzo alla piazza, esattamente dove si trova la fontana. Non sarebbe capace…
-Non lo faresti mai!
-Vedremo-dice come se avesse accettato la sfida per poi lanciarmici dentro.
L’acqua è gelida, è normale a metà aprile. Torno in superficie, ho bisogno di un secondo per recuperare l’aria. E’ così fredda che sembra mi abbiano infilato un coltello in ogni poro della pelle.
-Te la farò pagare!-fra la rabbia ed il freddo, la mia voce suona più acuta di ciò che voglio veramente.
Varie persone si fermano a guardare la scena. Altre ridono.
-Sono sicuro-ride. Ride di me!
-Ho appena fatto la doccia!-mi lamento.
-Non l’avrei mai detto…-si porta la mano al naso, come se avesse sentito un cattivo odore-Hai bisogno di lavarti di più-mi schizza un po’ d’acqua.
Mi dirigo verso il bordo della fontana. Lui saluta con la mano e dice:
-Ci rivedremo-si gira e va via.
Per il suo bene, spero di no, o salterò al suo collo per strangolarlo.
Torno a casa tremante. Questa volta, entrando nell’edificio, il portinaio mi guarda, ma non mi chiede niente, probabilmente ha visto la mia faccia arrabbiata. Vado dritta al bagno, mi svesto e faccio un bagno caldo per ristabilire la mia temperatura.
Mi butto sul letto di Allysa e prendo il cellulare. Su whatsapp non c’è nessuna conversazione, tranne che quelle con qualche collega di lavoro per chiedere qualcosa riguardo ad uno specifico tema. La maggior parte delle chiamate che riceve sono di numeri privati o della sua compagnia telefonica. E nella galleria non ha foto di sé o dei suoi amici. La famiglia è morta, ma non aveva nemmeno amici? Era così sola? Cosa la legava a questo mondo? Lo stesso che lega me a questo mondo, immagino: niente.
Apro il motore di ricerca sul cellulare e cerco ‘incidente 16 aprile 2017’. Magari il motivo per cui sono nel corpo di Allysa è perché lei è la ragazza con cui mi sono scontrata nell’incidente. Escono delle notizie riguardo quella notte. Seleziono il primo e leggo di una vittima mentre l’altra è in ‘condizioni critiche’. Provo a verificare il nome di questa persona ma è impossibile.
Ci sono solo due modi per saperlo: o lo chiedo amabilmente agli impiegati dell’ospedale o infiltrarmi per leggere i registri. Ognuna delle due opzioni mi sembra pessima.
Spengo il cellulare e chiudo gli occhi un momento.
La mia vita è totalmente cambiata. Prima avevo una vita perfetta. Avevo due genitori che si amavano, una sorella che adoravo e un fidanzato per cui sarei morta. A scuola prendevo buoni voti ed ero una delle più popolari assieme alla mia migliore amica Sara. Sarei andata all’università per studiare diritto. Sarei andata a Parigi con Sam. Avevo così tanti piani…e ora, niente. Non ho famiglia, non ho un fidanzato e non ho amici. Non so dove lavora Allysa. E sembro un mostro con quest’occhio di due colori.
La cosa peggiore è sapere che sono io la causa di tutta questa sofferenza. Inclusa la mia. Non c’è nulla di peggio che vedere le persone che ami di più distrutte e non poter fare nulla per placare, anche solo un po’, quel dolore.
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